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 La Calà del Sasso è una scalinata in pietra formata da 4444 gradini che collega il Comune di Valstagna, nel Canale di Brenta, alla frazione Sasso di Asiago, nell'Altopiano dei Sette Comuni, ed è la scalinata più lunga del mondo del suo genere.

In destra Brenta, spacca l’altopiano con una profonda fessura e divide in due Valstagna. E’ la Val Frenzela, decisa e tortuosa spaccatura che si incunea nell’altopiano delle Sette Sorelle con la spettacolarità delle sue guglie, degli strapiombi e dei solenni silenzi straziati dai rimbrotti delle cornacchie. Nella quiete della profondità della valle il placido, timido scroscio del torrentello Valstagna ci accompagna nel risalire alla ricerca della storica via che cambiò i destini  del commercio e la vita degli abitanti alla fine del XIV secolo. Ecco, in uno slargo, sulla sinistra, inerpicarsi decisa la Calà del Sasso.

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Con i suoi 4444 gradini di pietra copre un dislivello di 810 metri ed è la più grande opera del genere nel mondo.

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La Calà: la scalinata più lunga del mondo in pietra naturale, da Valstagna, antico porto fluviale sul Brenta, all'Altopiano di Asiago

Cala del Sasso

 

La leggenda di Loretta e Nicolò

 

 

La storica scalinata

 

 

Calà del Sasso: l'antica strada dei tronchi

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La Calà del Sasso deve il suo nome Calà (calata, discesa) appunto al fatto che tutto il percorso, affiancato da una grossa cunetta per i tronchi, realizzata, come i gradini stessi, in pietra di calcare, veniva sfruttata, per scendere il legname dall'Altipiano al Canale del Brenta.Giunti a Valstagna infatti, la Calà terminava nei pressi del fiume Brenta, in cui i tronchi erano gettati e fluitati fino a Venezia.

Realizzata nel XIV secolo sotto il dominio di Gian Galeazzo Visconti, nel 1387 , venne ampiamente sfruttata dai Veneziani dal XV al XVIII secolo per rifornire di legname l'Arsenale della Repubblica di Venezia per la costruzione di navi e divenne la via più breve per il trasporto a valle delle merci.

Fino a quel momento nonostante un incremento della produzione di prodotti caseari, lane ma soprattutto legnami, la commercializzazione era vincolata alla carenza di vie di comunicazione, poco sicure e malcurate, che riducevano gli scambi alle contrade interne e a forniture alla Serenissima molto frammentarie.

La calata (da qui Calà) rappresentò la svolta, aggirando così le barriere daziarie imposte dal comune di Foza, e distinguendosi per la sua struttura pensata per il trasporto dei tronchi sempre più richiesti dalla Serenissima per il potenziamento e la manutenzione della propria flotta.

Fu realizzata a gradini con le alzate di circa 15 centimetri, un piano di appoggio di mezzo metro e larghi fino  a 2 metri. Sono 4444 scalini, cavati e ottenuti con sassi del posto, che si tuffano a valle per un dislivello di 810 m. A fianco, per tutta la discesa, vi era uno scivolo nel quale venivano posati i tronchi e frenati con corde che permettevano i cambi di direzione nei tornanti.

La nascita di questa nuova via rapidissima rivoluzionò l’economia montana e fra il XV e il XVIII secolo le forniture di legname dell’altopiano all’arsenale di  Venezia furono così importanti che alcuni toponimi come “Col dei Remi” ancor oggi le ricordano.

Nel 1491 si procedette alla prima manutenzione ma visto che l’impresa era particolarmente onerosa, la Repubblica di Venezia decise che  la spesa doveva essere sostenuta e suddivisa tra tutti i comuni che ne facevano uso. Nei secoli successivi quindi, grazie ai comuni di Asiago, Gallio, Foza, Roana, Lusiana e Valstagna, la strada fu mantenuta in perfetta efficienza.

Perse la sua importanza come principale via di collegamento fra pianura e Altipiano dalla metà dell’800  quando nascono le carrabili di collegamento fra montagna e pianura, capofila il “Costo”  (1850) che congiunse Asiago a Caltrano e nel 1909 comincia a funzionare la ferrovia da Piovene Rocchette al capoluogo dell’altipiano. La Calà perse così progressivamente di importanza anche se viene ancora utilizzata per passeggiate turistiche.

Durante l’alluvione del 1966, la via viene pesantemente danneggiata con la rimozione della massicciata in più punti, ma la consapevolezza di avere di fronte un capolavoro storico di ingegneria stradale ha generato finanziamenti per il recupero e la rivalorizzazione del sito.

La spettacolarità di questa via è ben resa da uno scritto di Paolo Rumiz: E' lunga come il purgatorio, scura come il temporale, la scala che ti porta al grande vecchio della montagna (Mario Rigoni Stern n.d.a.), lassù sull’Altopiano di Asiago. Quattromilaquattrocentoquarantaquattro gradini, ripidi da bestie, faticosi già a nominarli. Partono dalla Val Brenta, sotto picchi arcigni, nel punto dove la valle - per chi viene da Bassano - sembra spaccarsi in due, all’altezza di un paese chiamato Valstagna, con la sua muraglia di vecchie case a filo d’argine. L’erta prende la spaccatura di sinistra e brucia in un lampo 810 metri dislivello. Si chiama «Calà del Sasso», ed è una delle opere più fantastiche delle Alpi…”

Nel 1998-1999 venne recuperato e rifatto il tratto degli Stretti e messo in sicurezza.

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Nel 2012 e nel 2013 il comune di Valstagna, tramite il servizio forestale della Regione Veneto, ha intrapreso due grossi interventi di recupero (per centinaia di migliai di euro) della famosa Calà del Sasso.

 

Post n°9 pubblicato il 19 Gennaio 2009 da themi

Come spesso accade in Valbrenta la suggestione dell’ambiente naturale e la fantasia popolare hanno alimentato racconti e leggende, e anche la Calà possiede la propria storia d’amore e fratellanza. Si narra che nel 1638, Loretta e Nicolò, fidanzatini in odor di matrimonio, abitanti del Sasso, vengono colpiti da sventura. Loretta, in attesa di un figlio, si ammala di peste e il suo innamorato determinato a salvare la sua bella, parte deciso alla volta di Padova alla ricerca di un unguento miracoloso. Scende la Calà e a Valstagna  noleggia un cavallo. Pur viaggiando di gran carriera il tempo scorre veloce e col sopraggiungere della notte Nicolò non è ancora tornato; gli abitanti del Sasso decidono di scendere con le torce incontro al giovane. Con stupore avvistano lungo la Calà altre luci che salgono: è Nicolò scortato dagli uomini di Valstagna. La storia è a lieto fine con l’unguento che guarisce Loretta e i due “morosi” che si sposano con la partecipazione numerosa degli abitanti del Sasso e di Valstagna al loro matrimonio. Da qui la credenza popolare che se due fidanzati percorrono la Calà mano nella mano si ameranno per sempre. A ravvivare questo messaggio d’amore la seconda domenica di Agosto tutti gli anni si svolge una fiaccolata commemorativa che porta diverse centinaia di persone da Valstagna su per la ripida via storica fino al Sasso di Asiago dove vengono accolti da musiche e banchetti.

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La scala del grande vecchio da "La leggenda dei monti naviganti" - Feltrinelli - Rape rosse per il "barszcz" di Paolo Rumiz

“E' lunga come il purgatorio, scura come il temporale, la scala che ti porta al grande vecchio della montagna, lassù sull’Altopiano di Asiago. Quattromilaquattrocentoquarantaquattro gradini, ripidi da bestie, faticosi già a nominarli. Partono dalla Val Brenta, sotto picchi arcigni, nel punto dove la valle - per chi viene da Bassano - sembra spaccarsi in due, all’altezza di un paese chiamato Valstagna, con la sua muraglia di vecchie case a filo d’argine. L’erta prende la spaccatura di sinistra e brucia in un lampo 810 metri dislivello. Si chiama «Calà del Sasso», ed è una delle opere più fantastiche delle Alpi. Sconosciuta, ovviamente, agli italioti. Per capire Mario Rigoni Stern e i suoi libri non devi andarci in auto. Devi sudare, muovere le chiappe. E di tutte le intorcicate strade che collegano l’Altopiano al resto del mondo devi scegliere questa. La più segreta, la più bella, la più diretta, la più alpina. Serviva a calare il legname in fondovalle, per farlo navigare fino a Venezia. Un fiume di pietra, quasi una pista di bob, affiancata da scalini, da dove i legnaioli controllavano i tronchi, invertendone la direzione a ogni tornante. Te ne accorgi subito, appena cominci a salire, che la Calà del Sasso è fatta per scendere. E tu la fai all’incontrario. Ti addentri nella Val Frenzéla (un tempo Freiental, nel dialetto tedesco di Asiago) coperta di muschi e umidità, traversi foreste di felci, ombrellifere, rampicanti e subito pensi: se fosse in Francia, questo luogo sarebbe indicato da tutte le parti, sommerso di dépliants, inondato di iperboli. La più lunga scala delle Alpi, figurarsi. Superlatif, formidable, unique au monde. Ci avrebbero messo musei con l’epopea dei legnaioli, percorsi didattici con la storia dei tronchi che scendono lungo il Brenta fino all’Arsenale, e quella del carbone che arriva per chiatta a Rialto. Ma non siamo in Francia. Siamo in Italia, e Valstagna è un luogo dove nessuno si ferma, dove respiri l’abbandono. C’è afa, ronzano mosche, il cielo brontola sugli strapiombi, quest’estate boia non finisce mai, ma si sale lo stesso, sono gli scalini a portarti con regolarità, cinquanta centimetri di passo, quindici di dislivello. Ci metti due ore: il tempo, dicono qui, di recitare «quattro rosari». La fatica è tutta nell’anima, perché la scala, appena restaurata con i soldi della Comunità Europea, è già in semi-abbandono, coperta di pietre ed erbacce. Dice a ogni metro il divorzio degli italiani dalle loro antiche strade. Povero Paese senza memoria, il nostro. Troppo pieno di storia per avere cura delle sue pietre. La Svizzera del Veneto ti si schiude all’ultimo scalino, ed è un mondo a sé, col suo labirinto di pascoli lontani dal mondo, le antiche leggi comunitarie, i Sette Comuni federati da sette secoli e lasciati liberi dalla Grande Venezia. Per arrivare dal vecchio devi camminare ancora due ore, passare sotto il Monte di Val Bella lungo un sentiero che si chiama Via Tilman, infilarti tra la frazione di Bertigo e Malga Costalunga, puntare sull’immenso sacrario della Grande Guerra, evitare come la peste la conurbazione di Asiago già infestata di balconcini tirolesi e palchetti con gli animatori, girare a Nord verso la Val di Nos e chiedere alla gente. Tutti sanno dove abita il Mario. Sbuca dalla finestra del primo piano, ride a vedermi con sacco e scarponi, pare ancora un ragazzino con quella foresta di capelli matti. Scende subito, è curioso di sapere di questa traversata alpina, vuole dare i consigli giusti. Apriamo la carta su un tavolino sotto casa. «Vai - mi dice - vai sulle Alpi liguri, selvagge, solitarie, con gli ulivi fino a mille metri». Poi racconta della strada degli emigranti, che da qui prendevano il treno per Ulma, Germania, e la distanza la calcolavano col prezzo del biglietto a partire da quella città. «Son stà do marchi al de là del Ulm», dicevano, sapendo che più lontano andavano meglio era. Meno italiani in giro, meno concorrenza. Dunque più salario. «Pioverà» dice Mario, e mostra l’uccello in gabbia. E' immobile, si chiama Crociere delle Pinete e si muove solo col bel tempo. Giorni fa, racconta, un fulmine ha accoppato sei vacche su in malga. Mi porta sull’orto. Ha le rape rosse per fare il Barszcz, la zuppa delle grandi pianure slave, ricordo della campagna di Russia. «La ricetta ucraina è con tre tipi di carne, crauti freschi, aglio, cipolla. Alla fine ci metti lo yogurth, in assenza di panna acida. E un po' di paprika». Si muove tra gli ortaggi come tra i suoi libri. Porri, radicio triestin e radicio de testa, insalata catalogna, coste, cavolfiori, carote, zucchine, tegoline. E le verze, che i caprioli vengono a rosicchiare ogni mattina all’alba. Andiamo a camminare, Mario mette gli scarponi, ha ancora il diavolo in corpo. A ottantadue anni è andato a caccia di camosci, la prima volta. E siccome ha una mira bestiale, ne ha fatto secco uno al primo colpo. Del bosco sa ogni segreto, è una cosa vivente che gli serve a misurare la febbre della Terra. Quest’anno caldo, racconta, gli abeti sono in esuberanza, «guarda lassù come son pieni di stròbili e polline». Le allodole sono salite sopra i 1500 metri, le senti dal trillo dell’alba che non c’è più, attorno al paese. Le zecche sono sparite, le vespe germaniche pure. I funghi pochi, le vipere tante. E troppe ortiche, lamenta. Il segno dell’abbandono dei pascoli. «Se la politica non aiuta le malghe, le erbacce arriveranno fino alla piazza di Asiago». Malga Zevio, le trincee raccontate da Emilio Lussu. Mario si arrampica, entra nelle postazioni austriache, conosce ogni metro di questo luogo maledetto dove ragazzi di vent’anni si ammazzarono per venti mesi per conquistare venti metri. «Mio zio Mosé combatté qui e non volle ritornare. Mai». Col bastone mostra l’Ortigara, la Malga Ongara, il Grappa, i luoghi dove i fanti sardi andarono al massacro. Diavoli rossi, li chiamavano, perché sbucavano di notte col coltello. «Quando la guerra finì, la gente trovò ancora scheletri sui reticolati». Sembra incredibile che la natura abbia ricolonizzato ogni centimetro di questo luogo, dove ogni pietra è un rudere.”

Tratto da “la Repubblica”, 10 agosto 2003

Paolo Rumiz, inviato speciale del "Piccolo" di Trieste e editorialista di "la Repubblica", segue dal 1986 gli eventi dell’area balcanico-danubiana. Ha vinto il premio Hemingway nel 1993 per i suoi servizi dalla Bosnia e il premio Max David nel 1994 come migliore inviato italiano dell’anno.

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Sentiero CAI 778

altre foto dell'archivio comunale

Proposta itinerario:

- Questo itinerario unisce l'ascesa per la famosa gradinata della Calà del Sasso con la discesa del 'Sentiero del Vu' , una opera militare della prima guerra mondiale. Questo itinerario segue i sentieri n.778 per la Calà del Sasso, sent. nr.800 sino alla cima d'Astiago, il sentiero 775 'Del Vu' sino al raccordo con l'Alta Via del Tabacco -AVT, poi si segue quest'ultima sino a raccordarsi nuovamente con la Calà del Sasso.

Il parcheggio è a Valstagna, non al centro del paese ma al secondo tornante della strada per Foza-Asiago; vi sono due piazzali ai lati della strada per parcheggio auto.

 

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La Val Frenzela

Si segue la stradina sterrata con divieto di transito sino alla sorgente della Fonte Bessele, (meglio nota ai locali come Fontanelle) ove, alla sinistra di un gazebo in legno (bacheche illustrative) inizia la scalinata della Calà del Sasso vera e propria. Si sale per la scalinata incontrando alla quota m. 381 il bivio dell'Alta via del Tabacco che percorreremo poi al ritorno. (In seguito incontriamo il bivio con il sent. 778bis, alternativa breve per compiere un percorso ad anello). Quasi a metà gradinata una ardita e singolare guglia, il cui profilo assomiglia ad un volto di una nonna.

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El Castilier

Si esce dalla scalinata presso un bel prato con gazebo e poi si segue a sinistra verso est (sent. n.800) la strada bianca che si abbandona alla quota di m.950 (indicazioni) seguendo un sentiero molto largo che ci porterà al rif. Lazzarotto (privato), mt.1092.

Si superano le malghe Posta di Sopra infilandosi proprio tra di esse (non seguire le indicazioni su palo) salendo per la bella costa erbosa che porterà sulla Cima Col d'Astiago dove è stata costruita una orribile cisterna d'acqua per alimentare dalle fonti delle grotte di Oliero a valle, l'altopiano carsisco di Asiago.

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Si scende alle sottostanti casere aggirando il colle verso est dove chi vuole può gia visitare molte postazioni d'artiglieria della prima guerra mondiale (segnaletica). Si prosegue ora per il sentiero n.775 'Del Vu' che porta alla forcella Val d'Ancino, una posizione strategica ricca di gallerie e fortificazioni. Giù per sentiero molto largo proprio in cresta, ripido e pieno di fogliame che richiede attenzione e passo fermo sino al rifugio in grotta (sella della Grottona m.798).Si scende sino ad incontrare la diramazione del sent. n.775 e quì si prende la diramazione verso nord.

Alla quota m.544 ci raccordiamo con l'Alta via del Tabacco che seguiremo verso Nord. La traversata presenta saliscendi per circa 250mt. ma il sentiero è sempre molto buono anche se attraversa talvolta brevi tratti pittosto esposti.

Dislivello circa 1300 mt.    km. 16.5  - Ore 6.30 circa      Non vi è acqua sul percorso

Cartogragfia Tabacco carta n.50 altopiano dei sette comuni 1:25000 UTM-GPS