“I recuperanti”, un film di Ermanno Olmi (1970).
Questa mia recensione ha lo scopo di ricordare la principale causa del degrado in cui, al giorno d’oggi, vessano la maggior parte delle fortificazioni del fronte alpino della Grande Guerra.
Una causa che, nonostante abbia lasciato a noi un ammasso di monumentali ruderi, ha permesso ai nostri nonni e ai nostri padri di ricavare il materiale necessario a costruire e riprendere la vita nei paesi devastati dalla guerra.
Lo splendido realismo con cui il film che andrò ora a descrivervi si ambienta nella storia e nel paesaggio dell’Altopiano di Asiago e delle valli circostanti è il motivo principale per cui ho deciso di scrivere questo articolo.
Al realismo del contesto si affianca quello dei personaggi, e in particolare della loro relazione: una perfetta pennellata che in un movimento disegna l’incontro di due uomini, un anziano reduce della prima guerra e un giovane alpino appena tornato a casa dalla campagna di Russia del 1943. Entrambi legati alla propria terra e segnati dalla necessità di affrontare una nuova vita, anche se in direzioni diverse.
La scenografia del film è scritta da Mario Rigoni Stern, che nel 1995 parlerà ancora di recuperanti nel suo “Le stagioni di Giacomo”.
L’inizio del film vede Gianni, il giovane alpino, rientrare sull’Altopiano a piedi: non vengono effettuate digressioni sui suoi trascorsi nella campagna di Russia, ma il giovane è istantaneamente proiettato nella dimensione del presente e del suo paese. Viene immediatamente riconosciuto dai suoi compaesani che gli dimostrano subito affetto, ma altrettanto presto si accorge che qualcosa è cambiato: il padre vedovo si è risposato con una ragazza di molto più giovane e il fratello sta per partire alla volta dell’Australia. L’unico affetto che rimane presente e costante è quello della fidanzata. Ma come fare per costruirsi una nuova vita assieme a lei e ottenere la sicurezza economica necessaria? Partire per l’Australia significherebbe un nuovo allontanamento, ma restare sull’Altopiano, già fortemente impoverito dalla distruzione che la popolazione aveva dovuto affrontare venticinque anni prima, equivale ad andare incontro a problemi economici apparentemente senza uscita.
Gianni decide di rimanere, e prova, assieme ad altre persone che vivono la sua stessa situazione, a mettersi al lavoro in una vecchia segheria dismessa durante la guerra, affidandosi, come da sempre nella tradizione dei Cimbri, ai boschi di Asiago per la propria sopravvivenza. Purtroppo, se la natura è benevola nei suoi confronti, non lo è certo la burocrazia che li costringe a fermare l’attività.
Fortuitamente una sera, dopo una sofferta discussione con la fidanzata e quasi deciso a partire, incontra per strada quello che sembra un vecchio ubriacone che canta sguaiatamente seduto in un vicolo. Gianni lo riconosce: è il Du. Gianni si stupisce che sia ancora vivo. Il Du è un uomo che ne deve avere passate sicuramente delle belle: lo si capisce dal suo comportamento schietto e dissociato, dal suo rapporto con il vino, la grappa e il tabacco e dal modo disinvolto in cui ostenta un patrimonio di banconote stropicciate tirate fuori dalla tasca della giacca. Non parlerà mai chiaramente di sé durante il film, ma farà capire molte cose: se l’è sempre cavata in situazioni difficili, non crede nei confini, ha conosciuto austriaci, francesi, americani (parla bene il tedesco, il suo stesso soprannome, Du, significa “tu”, in tedesco), non si capisce con chi abbia combattuto fino al 18, se con gli italiani o con gli austriaci, ma sicuramente ha combattuto, e molto probabilmente sulle sue stesse montagne.
Inizia così la seconda parte del film, che vede i due cimentarsi nella più redditizia (e pericolosa...) delle attività possibili in quel contesto: il recupero di materiali bellici.
E’ veramente documentaristico il loro movimento sul territorio alla ricerca di metalli e bombe inesplose.
Una lunga scena di disinnesco avverrà nel forte Corbìn, uno dei pochi forti ancora ben conservati proprio perché risparmiato dai recuperanti: come la maggior parte delle fortificazioni italiane, infatti, non era costruito con cemento pesantemente armato, ma piuttosto con semplice cemento e pietre. Ben altra sorte toccherà a certi ben progettati forti austriaci, come il Luserna o il Cherle.
Altre scene saranno ambientate tra le montagne, le trincee e i camminamenti, ripercorrendo, con brevi incisi e narrazioni, episodi della guerra.
Anche la storia raccontata da Du sulla corazzata smontata e nascosta tra le trincee, storia che lo stesso spettatore del film potrebbe identificare come di fantasia ed esagerazione, si basa su un fatto reale. Negli anni precedenti al conflitto l’impero Austro-Ungarico aveva stanziato nuovi fondi per finanziare la Marina Militare Asburgica ed era stata avviata la produzione di nuove navi ed armamenti navali (cosa che a noi potrebbe sembrare alquanto strana, dati gli odierni confini dell’Austria; dobbiamo però ricordare che fino al 1918 comprendeva anche Croazia e Slovenia). Questo materiale, ancora non completo e assemblato all’inizio del conflitto, è stato poi letteralmente “riciclato” tra le alpi, come dimostra la presenza in Valsugana di un enorme cannone da marina (soprannominato poi “Georg”) che dalla ferrovia nei pressi del lago di Caldonazzo batteva tranquillamente i paesi di Gallio e Asiago con l’aiuto di un biplano da ricognizione austriaco per ottenere i dati di aggiustamento del tiro. Una sorte simile sarebbe toccata anche alla Valsugana, dove cadevano per errore i colpi sparati con alzo troppo elevato dal forte italiano di Campolongo a quello austriaco di Cima Vezzena.
Il film procede con alcune avventure, alcune particolarmente tristi.
Viene prima seguita la fase di disinnesco di un’enorme bomba da mortaio, eseguita magistralmente da Du che sembra prendersi una rivincita nei confronti di quell’oggetto che ha portato via fin troppe vite umane.
Poi il resoconto di un incidente: due altri ragazzi della zona perdono la vita per colpa di un’esplosione durante un tentativo di recupero.
Infine il ritrovamento di alcuni cadaveri di soldati in una trincea emersa grazie all’utilizzo di un metal detector, reperito tra i materiali dismessi dall’esercito americano penetrato in Italia nel 1943.
Tutti questi episodi convinceranno Gianni a trovarsi una meno pericolosa attività da manovale nei cantieri delle nuove case costruite da grandi imprese edili nella zona di Asiago nel secondo dopoguerra. Il Du continuerà invece a vivere come ha sempre fatto, concedendosi un ultimo sguaiato e riflessivo saluto al nuovo operaio impegnato nella costruzione di un edificio.
Un film, questo, assolutamente da conoscere per tutte le persone che hanno cari i luoghi e gli avvenimenti accaduti sul fronte alpino della Prima Guerra Mondiale.
Daniele Roat