Ma l'agente di gran lunga più importante, succeduto nei millenni passati all'opera demolitrice e modellatrice dei ghiacciai, come responsabile della costituzione geomorfica del nostro Canale, è stato, e resta tutt'ora, il Brenta.

La storia di questo fiume, che si identifica in buona parte colla storia delle nostre contrade, parte da  lontano.La si può leggere ancor oggi scolpita sui dirupi rocciosi del nostro fondovalle, segnati dall'urto e dallo sfregamento dei suoi detriti, ovvero dal moto vorticoso delle sue correnti, o archiviata nei grossi depositi alluvionali, abbandonati lungo i millenni sui pendii più lontani, dove sorgono i nostri paesi o presso le rive del fiume, come nelle ghiaie e sabbie sedimentate in strati più o meno profondi all'uscita dal canalenella pianura bassanese.

L'uomo ha imparato a conoscerlo e temerlo da tempo il nostro fiume, come lo prova del resto il nome antichissimo che gli è stato imposto,C'è chi in passato, lo ha addirittura collegato a quello di una mitica città, di nome Barentia, fondata, secondo la leggenda, in quel di Valstagna da un certo Barat, arrivato dall'oriente ai tempi di Noè.

Ce ne parlano, fra gli altri, scrittori come Angelo Portenari, il quale anzi non si ritrae dal dichiarare di averne viste coi propri occhi le roovine.

Comunque sia, prima che questa città leggendaria imponesse il suo nome al nostro fiume, il Brenta aveva sicuramente un altro nome: si chiamava Medoacus.

Questa denominazione, attestata da diversi scrittori antichi, come Plinio il vecchio e Strabone, si lascia rintracciare anche nella famosa Tavola Peutingeriana, una specie di mappa turistica del V secolo dopo Cristo, ad uso dei pellegrini diretti in Terra Santa.

Quando e in quali circostanze il nome del nostro fiume, di origine anteriore alla romanizzazione del Veneto, si sia cambiato in quello di Brenta è difficile dirlo.Il mistero di questo mutamento potrebbe forse ricollegarsi a quella rivoluzione etnico-culturale, largamente attestata nella toponomastica della Valle, e avvenuta con la discesa dei Longobardi (VI secolo dopo Cristo). E' infatti Venanzio Fortunato (530-605), scrittore coevo alla calata di questa stirpe germanica, il primo a rendercene testimonianza.Dopo di lui, scomparso il nome di Medoacus, resta solo quello di Brenta, la cui più antica documentazione peraltro risale soltanto al 943...

Uscendo sottoforma di due piccoli ruscelli dai laghi di Levico e di Caldonazzo, il Brenta, una volta riunito il corso e assunto il suo nome, percorre per circa trentaquattro chilometri la Valsugana, sino ad imboccare all'altezza di Primolano quello che è stato chiamato  e resat tutt'oggi il suo 'Canale'.lungo il nuovo angusto percorso di circa 32 chilometri, prima di arrivare alla pianura, esso riceve l'apporto generoso da destra e da sinistra di vari corsi d'acqua: da sinistra (per ricordare i principali) il fiume Cismon e la sorgente dei Fontanazzi; e da destra, oltre alle sorgenti del Subiolo e dell'Oliero di Valstagna, quello della Rea di Campese.Fra i suoi confluenti non vanno tuttavia dimenticati certi torrenti, specie nella sua destra, così impetuosi in periodo di 'brentana', come la Val Gadena e la Valstagna.

Uscito dal Canale, in aperta pianura, il Brenta dirige il suo corso per circa novantacinque chilometri verso Padova.In antico, anzi, esso entrava direttamente in questa città, diventandone l'elemento portante dell'intero sistema urbano.Qui a Padova, infatti il Brenta o Medoacus, in epoca romana e preromana, aveva il suo porto, col suo scalo merci, e da qui, una volta uscito e presa la via dell'Adriatico "si divideva in due rami.Il (Medoacus) maior, che continuava verso oriente per sfociare in laguna all'altezza di Malamocco, e il minor che scendeva diretto alla laguna di Chioggia.

 

fonte "Valstagna e la destra del Brenta" di F. Signori- 1981